giovedì 24 ottobre 2013

DANZA E LITURGIA


Tra le tante cretinate diffuse dagli "osservatori"ricordiamo le critiche alla prassi di danzare .In realtà questa usanza ,non è un atto liturgico, pertanto non pone alcun problema.In modo stupido e da "cretinetti" gli'"osservatori"sono soliti ripetere stupidaggini anche su questo tema.

Offro una riflessione puntuale e competente sul tema della danza e a liturgia tratta da la settimana.Invito gli "osservatori"a leggere quanto si dice sulla danza in relazione alla liturgia.Si istruiscano dato che sono molto ignoranti otre che in malafede.


LA DANZA E LA LITURGIA 


Il tema della danza in liturgia, come è facile notare, sembra oggi accendere, al solo nominarlo, reazioni diverse, tendenzialmente negative: perplessità, reticenze, talora rifiuti. Non può certo essere affrontato alla leggera. Richiede un attento chiarimento dei termini e un approfondimento del retroterra, culturale e teologico, su cui una danza liturgica deve appoggiarsi. Come ogni azione concreta, le buone realizzazioni pratiche possono venir apprezzate (ma solo constatando di persona), oppure, quando sono sgraziate e confusionali, valutate severamente.La nota iniziativa “Torino Spiritualità” (cf. Sett. 40/2012 p. 4), a fine settembre, ha dato occasione di portare alla ribalta la presenza di interventi di danza nel quadro di una messa domenicale, in una chiesa del centro di Torino. Settimana ha posto alcune domande a padre Eugenio Costa, gesuita, che ha accompagnato questo tipo di celebrazione, e alla sig.ra Roberta Arinci, danzatrice professionale, che ha messo il proprio talento a servizio della liturgia.
 
Ars bene movendi.

Torino Spiritualità 2013, fra le sue numerose iniziative, ha proposto anche il tema della danza religiosa e liturgica. Padre Costa, lei ha partecipato a questo progetto: può dirci come è stato pensato e con quali intenti? Nella linea di Torino Spiritualità 2013 (“Il valore della scelta”) ha trovato agevolmente spazio un duplice intervento, grazie alle capacità professionali e all’esperienza liturgica di Roberta Arinci. La danzatrice ha infatti presentato, come solista, una performance di danza indiana classica a tema cristiano, imperniata su quattro temi biblici (creazione, annunciazione, il cieco nato, passione e risurrezione del Signore), e, successivamente, alla messa domenicale nella chiesa di San Filippo Neri a Torino, ha guidato l’intervento del gruppo di danza liturgica “Ars bene movendi”, da lei formato a Milano negli scorsi anni.
 
Roberta Arinci, nella sua qualità di danzatrice di danza indiana sacra classica, lei è stata il perno attorno a cui i due interventi danzati si sono svolti: ci dica in sintesi in che modo lei è arrivata a questo duplice impegno, che sappiamo da lei praticato già da tempo. Il primo mi vede solista nella performance, che è un importante momento di alta qualità artistica, di un’arte raffinata che studio da venticinque anni, oltre che una ricerca originale e rara, mentre il secondo lavoro, iniziato sette anni fa, ne è in qualche modo lo sviluppo. Se, infatti, danzare la Bibbia secondo le regole della danza dell’India è una forma di inculturazione, la danza liturgica cristiana ne è un’inculturazione di ritorno. Infatti, non si può fare danza liturgica senza un senso profondo della sacralità del corpo, della ritualità dell’arte e della crucialità della liturgia nella vita – tutte nozioni assenti nell’arte europea e invece presenti da sempre nelle arti coreutiche indiane, la cui pratica negli anni, giorno dopo giorno, instilla questi principi nel profondo dell’anima.
 
Il corpo sospetto

Parlare di danza religiosa e liturgica non suscita ovunque e in tutti una reazione positiva. Chiediamo a padre Costa di interpretare queste reazioni di perplessità e talora di sconcerto.
Alla base di queste reazioni vi è la nostra comune cultura di cristiani europei, da secoli diventata sospettosa nei confronti del corpo e del suo coinvolgimento nell’atto religioso (ed è paradossale, perché in realtà è impossibile pregare estraniandosene!). La liturgia stessa, molto a lungo, si è espressa in forme rigide, al limite stereotipate. Ritrovare una maggiore cordialità verso i gesti e i movimenti rituali, sciogliendoli da rigidezze non indispensabili, è un cammino lungo, faticoso, pieno di ostacoli, facile ai malintesi e talora oggetto di sarcasmi. Un certo tipo di danza in liturgia può accompagnare con serietà, pertinenza e gioia questa evoluzione del sentire cattolico.
 
Roberta Arinci, vedendola danzare, si intuisce che questa, che è insieme un’austera disciplina artistica e un importante servizio alla liturgia, rappresenti per lei un impegno non solo culturale ma anche profondamente spirituale. Che cosa testimonia al riguardo? Danzare per il Signore è il centro della mia vita, una vocazione iniziata a vent’anni, quando ho detto il mio “sì” a Dio con grande slancio, senza paura ma molto buio intorno – e perplessità altrui. Sentivo una vocazione religiosa, che non pareva però trovare nei voti canonici la sua migliore espressione, tant’è che mi sono sposata presto e sono madre di due figli. Pochi mesi fa ho pronunciato finalmente, dopo tanti anni di cammino nella fede, un voto privato legato alla danza come atto sacro. Fare uno spettacolo in chiesa, come spesso avviene, in teatro, o danzare durante le liturgie, insegnare danza indiana, danza liturgica o consapevolezza corporea per la liturgia: sono tutti modi di testimoniare la mia fede. Anche la cultura serve: è arricchente per sé e per gli altri poter dare l’immagine del volto indiano di Gesù.
  
L’apertura ad altre culture e l’incontro con altri universi religiosi è uno degli orizzonti della Chiesa che in questi ultimi decenni ha subito un’accelerazione, quindi un’urgenza, particolari. Padre Costa, quali prospettive si vanno delineando? Si parla molto oggi di inculturazione del cristianesimo: è un tema fondamentale, a patto che non lo si prenda a senso unico, ossia unicamente dalle Chiese europee a quelle degli altri continenti. Se ha da essere, come vivamente desideriamo, sarà un reciproco comunicare le forme e i modi in cui le diverse culture accolgono l’innesto del Vangelo in casa propria. Quando è reciproco, diventa di inestimabile valore. Ora, accogliere l’arte raffinata della cultura dell’India che ricrea le espressioni evangeliche, è un capitolo importante in questa linea. Inoltre, lo stile, il modo, la qualità, la compostezza, il senso della ritualità propri della religiosità indiana possono essere un eccellente modello per una danza in liturgia anche in Europa. Non si tratta di copiare o di riprodurre in modo insensato, ma di lasciarsi ispirare dai valori anche coreutici di una grande civiltà spirituale, per dare forma, conveniente ed espressiva, a un gesto di danza nella nostra liturgia.
 
A scuola dall’India

Nell’ambito strettamente liturgico, Roberta, come si colloca l’azione danzata? Non rischia di inserire dei momenti di puro spettacolo, non consono alle celebrazioni? Nella sua esperienza, quali vie convincenti le si sono presentate perché si possa veramente parlare di danza liturgica? Premettendo che è stata cruciale la collaborazione con padre Costa, mi sono formata in studi liturgici presso il Pontificio istituto ambrosiano di musica sacra di Milano e il Corso di perfezionamento liturgico-musicale dell’Ufficio liturgico nazionale: non si può lavorare sul rito se non lo si conosce, morfologia e storia. Perché le danze durante lo svolgersi di un rito siano pienamente aderenti, è necessario chiedersi, anzitutto, quale sia il significato del momento della celebrazione che si vuole prendere in considerazione: stiamo acclamando il Signore che entra in chiesa nella sua Parola, o gli stiamo chiedendo perdono? La visibilità della danza, sua natura e suo limite, è la qualità bifronte che ci stimola a riflettere e a creare, tenendo conto dell’eloquenza del corpo in sé: una persona ritta davanti a noi, anche silente, non è già un discorso? In concreto, un momento danzato che, nella celebrazione, si innesta sempre su un canto eseguito da tutta l’assemblea, in qualche modo interpretandolo, ha piena garanzia di far corpo con il rito ed essere perciò pienamente liturgico.
 
a cura di L. Pr.
 
Fonte: Settimana 20 ottobre 2013